In questo articolo mi propongo di parlare della lettera L dell’acronimo LGBT, ovvero delle lesbiche, dando dapprima la definizione del termine, e procedendo poi sia da un punto di vista storico che da un punto di vista socio-culturale.
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I doveri dello psicologo e i diritti dell’utenza: il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
“L’esercizio di una professione comporta per sua natura una serie di dilemmi che il professionista si pone circa l’opportunità, la correttezza, la liceità di talune condotte. Il fatto che l’attività professionale si svolga in un contesto ambientale in cui convivono regole sociali, giuridiche e morali, talora incompatibili, può rendere ardui i processi decisionali conseguenti.” (Calvi e Gulotta, 2012)
Credo che queste parole descrivano in maniera semplice ed efficace la complessità di livelli sottostante la quotidiana pratica professionale. Inoltre, sono ancor più vere quando si pensa all’attività psicologica, che ha come obiettivo principe il benessere della persona che si rivolge al professionista. In questo articolo, che a primo impatto sembra esulare dall’oggetto del blog, cercherò di mettere in luce quegli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi italiani (CD) che, a mio avviso, possono avere delle implicazioni rilevanti parlando di orientamento sessuale e di identità di genere, con particolare riferimento alla pratica clinica.
Le bisessualità: oltre la dicotomia etero/omosessuale
Parlare di orientamento bisessuale genera spesso molta confusione, poiché la visione prettamente dicotomica della cultura occidentale tende a considerare la sessualità come esclusivamente etero- o omo-orientata, riducendo la bisessualità ad una sorta di “terra di mezzo” in cui starebbero le persone che non hanno ancora compreso e accettato il loro orientamento eterosessuale o omosessuale. In questo articolo, vorrei portare l’attenzione sulla complessità delle esperienze legate alla sessualità, dal punto di vista affettivo, comportamentale e identitario, per invitare a riflettere sulle diverse varianti della sessualità umana che si discostano dall’esclusiva eterosessualità o omosessualità, ma che sono sentite dalla persona come profondamente autentiche.
“Riparare” l’omosessualità
La comunità scientifica internazionale – si fa riferimento, ad esempio, all’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’American Psychiatric Association e all’American Psychological Association (1) – ha ufficialmente dichiarato, ormai da decenni, che l’omosessualità è una variante naturale dell’orientamento sessuale e, come tale, non ha, di per sé, alcuna caratteristica psicopatologica. In altre parole: le persone omosessuali ed eterosessuali si sviluppano, da un punto di vista psicologico, affettivo e relazionale, in direzioni di sanità o patologia del tutto indipendentemente dal loro orientamento sessuale.
Nonostante ciò, esistono ad oggi delle minoranze all’interno del mondo accademico e clinico che sono mosse dall’intento di “curare” le persone omosessuali, e che definiscono i propri interventi “terapeutici”, appunto, terapie riparative. Il mio utilizzare il virgolettato non ha (solamente) una finalità polemica, ma piuttosto un senso contingente: scopo dell’articolo è, infatti, definire in che cosa tali terapie consistono, il loro inquadramento epistemologico, la loro validità a livello sperimentale e la loro sensatezza da un punto di vista di etica professionale.
Intersessualità: tra medicina e diritto all’autodeterminazione
Quante volte ci capita di leggere discussioni o notizie a tematica gay e di incappare nell’acronimo LGBTI? Forse non tutti sanno che quella I finale non sta per Indecisi (come spesso si sente dire facendo riferimento a persone con un orientamento sessuale non definito, a persone bisessuali, e così via). La I dell’acronimo sta per Intesessuali. Ma chi sono le persone intersessuali?
La de-patologizzazione dell’omosessualità in psicologia
Gli orientamenti omosessuali sono sempre esistiti, e hanno trovato differenti spazi di definizione a seconda delle epoche storiche. L’articolo si propone come un approfondimento relativo alle vicissitudini di tali definizioni, a partire dall’ ‘800 ai giorni nostri, e con particolare riferimento all’ambito psicologico-psichiatrico. Si individuano tre passaggi storici nel modo di concepire l’omosessualità: il primo, che definirei come passaggio dal dominio della religione al dominio della medicina, è collocabile nella prima metà del XIX secolo; il secondo, situabile a cavallo dei due secoli, potrebbe essere definito come passaggio da un dominio medico patologizzante, vale a dire teso alla scoperta delle origini patologiche dell’omosessualità, ad un dominio di ricerca empirica, quindi con un primissimo tentativo di analizzare il costrutto dell’orientamento sessuale a partire dai dati di ricerca e non da presupposti teorici a monte; infine, il terzo ed ultimo momento riguarda gli ultimi tre decenni e coinvolge la fase storica a noi contemporanea, e può essere definito come passaggio dallo studio dell’omosessualità allo studio di come le variabili dell’omofobia, esterna ed
interiorizzata, incidono sul livello di benessere psicologico degli individui e dei contesti sociali. L’attuale visione dell’orientamento omosessuale come variante naturale della sessualità è ampiamente
supportata dalla comunità scientifica internazionale, ma anche osteggiata da una moltitudine di contesti minoritari guidati ancora da una visione patologizzante dell’orientamento omosessuale.