Espressione di Genere: più libera nelle persone LGBT?

dott.ssa S. Bosatra

Con questo titolo volutamente provocatorio, vorrei invitare ad una riflessione su quanto la nostra personale manifestazione del genere in cui ci identifichiamo sia condizionata dalle aspettative dell’ambiente socio-culturale, rispetto all’idea di maschio e femmina, ma anche a quella di persona eterosessuale e persona LGBT.

Credo sia doverosa una breve premessa teorica sul concetto di genere, che qui sarà non esaustiva vista la complessità del costrutto, ma potrà accompagnare il lettore nella riflessione che propongo in questo articolo.

A differenza del sesso, che indica una categoria biologica e genetica di maschio o femmina – ad eccezione dei casi di Intersessualità – (1), il genere si riferisce alle connotazioni socio-culturali e all’esperienza psicologica personale delle categorie “maschile” e “femminile”. In questo senso, il genere viene considerato una costruzione sociale che propone stereotipi di uomo e donna, a cui ciascuno si riferisce per riconoscere la propria identità di genere (2). L’identificazione soggettiva nel modello culturale maschile o femminile porta ciascuno ad assumere un preciso ruolo di genere, ossia l’insieme di atteggiamenti che il gruppo sociale si aspetta, in conformità con la rappresentazione collettiva di uomo e donna. A questo proposito, trovo davvero efficace l’espressione di Judith Butler (1990), che definisce il genere come “una copia di cui non esiste l’originale”. In questo avvicinarsi ai modelli culturali, ciascun individuo si confronta con le aspettative sociali comunicando alla collettività la propria espressione di genere, intesa come la presentazione dell’identità di genere attraverso l’aspetto esteriore: abbigliamento, taglio di capelli, gestualità del corpo. Pensando ad un continuum che descriva le diverse possibilità di espressioni di genere, agli estremi troveremmo la massima espressione di mascolinità e di femminilità, e nel punto più centrale troveremmo l’androginia.

Vorrei sottolineare come l’espressione di genere sia totalmente indipendente dall’orientamento sessuale e affettivo, poiché fin dall’età evolutiva tutti ci identifichiamo in un genere e lentamente costruiamo la nostra personale espressione di genere, iniziando ben prima di sentirci coinvolti in relazioni eterosessuali o non-eterosessuali. Eppure, Lingiardi e Nardelli (2014) evidenziano come teorie psicoanalitiche obsolete e credenze popolari prive di fondamento abbiano contribuito a creare confusione tra genere e orientamento sessuale: è diffuso lo stigma che l’uomo attratto da un altro uomo sia “femmina”, e la donna attratta da un’altra donna sia “maschio” (pensiamo ad esempio alla domanda stigmatizzante implicita – purtroppo a volte esplicita – rivolta a una coppia omosessuale: “Chi di voi fa l’uomo e chi la donna?”). In un’ottica etero-normativa che dà per scontato l’abbinamento sessuale e affettivo tra uomo e donna, pregiudizi di questo tipo stigmatizzano la non conformità al ruolo di genere, e di conseguenza possono favorire atteggiamenti omofobici “genere-specifici” nei confronti delle persone LGBT, considerate “non abbastanza” maschi o femmine.

Se da un lato tali pregiudizi stigmatizzano le persone non-eterosessuali in quanto ritenute non conformi alle aspettative sociali, dall’altro lato però finiscono per riconoscere alla comunità LGBT maggiore libertà di movimento lungo il continuum dell’espressione di genere. Credo che questo sia evidente se prendiamo come esempio un uomo che manifesta un’espressione di genere effeminata: per quanto abbia una connotazione stigmatizzante, la collettività sarà probabilmente più disposta ad accettare i tratti considerati come femminili se si tratta di un uomo omosessuale, mentre resterà forse più perplessa e incredula se si tratta di un uomo eterosessuale. Mi pare interessante notare come, in generale, le persone eterosessuali siano più vincolate ad un’espressione di genere tendenzialmente dicotomica tra maschile e femminile, mentre le persone LGBT, in quanto non conformi ai ruoli di genere, siano più libere di manifestare la propria espressione di genere: insomma, la stessa ottica eteronormativa generalizzata che rischia di escludere le diversità, finisce per svincolarle dalla rigidità degli stereotipi sociali, rendendole così più libere di autodeterminarsi.

I cambiamenti socio-culturali degli ultimi decenni hanno sicuramente contribuito ad una maggiore fluidità nell’espressione di genere, creando lo spazio anche per il look androgino e le contaminazioni tra maschile e femminile. Ma se per le persone eterosessuali l’immagine e la gestualità del corpo è contemplata come maschile, femminile e androgina, si resta decisamente sorpresi di fronte alle ben più ricche possibilità espressive socialmente accettate e riconosciute delle persone LGBT. A questo proposito, è doveroso il riferimento alla Queer Culture Illustrate Guide (3), un’enciclopedia che, con semplicità e ironia, illustra i principali termini e le icone del mondo LGBT. Ad esempio, l’espressività di genere delle donne lesbiche è rappresentata in un continuum di ben 6 punti, dal più femminile al più maschile: la femme, la lipstick, la chapstick, la tomboy femme, la tomboy e la butch. Per gli uomini gay la varietà di espressioni rende addirittura necessaria la rappresentazione grafica in un piano cartesiano, per collocare i ben 9 tipi descritti incrociando le variabili di magrezza e di barba/peli.

Al di là di queste forme espressive presentate esplicitamente come clichés, mi sembra interessante creare spunti di riflessione su quanto l’espressione di genere, attraverso cui comunichiamo al mondo parte della nostra identità personale, sia condizionata in modo più o meno consapevole dalla conformità con i ruoli di genere del contesto socio-culturale in cui siamo inseriti. Vorrei concludere citando il monologo di Agrado, personaggio transessuale nel film “Tutto su mia madre” di Pedro Almodovar: “[…] Quello che stavo dicendo è che costa molto essere autentica, signora mia… e in questa cosa non si deve essere tirchie, perché una più è autentica quanto più somiglia all’idea che ha sognato di se stessa”.


Note al testo:

  1. Per un approfondimento sull’intersessualità rimandiamo all’articolo “Intersessualità: tra medicina e diritto all’autodeterminazione”.
  2. Per un approfondimento sull’identità di genere rimandiamo all’articolo “Transessualità e il percorso della comunità scientifica verso la de-patologizzazione: dove siamo oggi?”.
  3. Consultabile a questo link.

Bibliografia:

  • Killermann S. (2013), The social justice advocate’s handbook: A Guide to Gender. Austin, TX: Impetus books.
  • Lingiardi V., Nardelli N. (2014), Linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali. Milano: Raffaello Cortina.

Letture consigliate:

  • Butler J. (2004), Scambi di genere: Identità, sesso e desiderio. Milano: Sansoni.

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