Un primo sguardo all’omogenitorialità

Con l’introduzione delle unioni civili e con l’aspro dibattito politico e sociale in merito alle adozioni omogenitoriali e, nello specifico, alla stepchild adoption, negli ultimi anni anche in Italia si è spostata l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema dell’omogenitorialità, ovvero alla funzione genitoriale esercitata dalle coppie gay e lesbiche (Lingiardi e Nardelli, 2014).
A tal proposito mi sembra doveroso sottolineare – come già in passato abbiamo fatto nei nostri articoli – come nell’analizzare un fenomeno non ci si possa fermare unicamente ad un piano personale, ma sia doveroso prendere in considerazione anche – e soprattutto – ciò che la letteratura scientifica internazionale è in grado di dire in merito.

Con questo articolo, vorrei portare all’attenzione dei lettori l’ultimo lavoro di ricerca – in ordine cronologico e di rilevanza scientifica – sul delicato tema dell’omogenitorialità, redatto dalla Dott.ssa Rachel H. Farr, docente di Psicologia dello sviluppo all’Università del Kentucky, e pubblicato nell’ottobre 2016 sulla rivista internazionale Developmental Psychology (Farr, 2016).

Dichiararsi a se stessi e agli altri: la sfida del coming-out

Per una persona omosessuale, il coming out rappresenta uno degli atti soggettivamente più rilevanti all’interno del processo di costruzione di una propria identità. La letteratura scientifica e il parlare comune, spesso, utilizzano questo termine con accezioni differenti.
Il termine “coming out” deriva dall’espressione inglese “coming out of the closet”, letteralmente “uscire dal ripostiglio”, e può essere tradotta con il termine “dichiararsi”. Nell’uso di tutti i giorni, questa espressione viene utilizzata per indicare l’atto volontario di una persona omosessuale (o bisessuale) di rivelare ad altri il proprio orientamento sessuale (Lingiardi e Nardelli, 2014). In psicologia e sociologia, tuttavia, con coming out si intende qualcosa di più complesso, che non ha a che fare unicamente con il dichiararsi agli altri, ma prima ancora con il dichiararsi a se stessi; ci si riferisce quindi ad un processo primariamente interiore di scoperta del proprio orientamento sessuale e di costruzione di una identità come persona gay, lesbica o bisessuale.

Gli atteggiamenti degli Psicologi italiani verso l’omosessualità

Da oltre 40 anni la medicina e la psicologia non considerano più l’omosessualità come una patologia, come già più volte è stato scritto in questo blog e come testimoniano le principali organizzazioni mondiali e nazionali (APA, OMS, CNOP, ecc.). Con il progresso della ricerca scientifica, molti professionisti hanno avuto modo di rivedere le proprie posizioni circa le questioni inerenti gli orientamenti sessuali. Nonostante ciò, alcuni psicologi e psichiatri continuano a non considerare appieno l’omosessualità come “una variante normale della sessualità umana” (APA, 2012): questo ovviamente ha delle notevoli implicazioni sulla società e, in particolar modo, su quei soggetti che si affidano alle cure di uno specialista. Non è mistero, infatti, che ancora oggi vengano messe in atto terapie riparative (1), o comunque interventi terapeutici volti a modificare l’orientamento sessuale dei pazienti, specialmente quando sono proprio questi ultimi a richiedere tali prestazioni come conseguenza di un disagio psicologico, sociale e/o relazionale.

I doveri dello psicologo e i diritti dell’utenza: il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani

“L’esercizio di una professione comporta per sua natura una serie di dilemmi che il professionista si pone circa l’opportunità, la correttezza, la liceità di talune condotte. Il fatto che l’attività professionale si svolga in un contesto ambientale in cui convivono regole sociali, giuridiche e morali, talora incompatibili, può rendere ardui i processi decisionali conseguenti.” (Calvi e Gulotta, 2012)
Credo che queste parole descrivano in maniera semplice ed efficace la complessità di livelli sottostante la quotidiana pratica professionale. Inoltre, sono ancor più vere quando si pensa all’attività psicologica, che ha come obiettivo principe il benessere della persona che si rivolge al professionista. In questo articolo, che a primo impatto sembra esulare dall’oggetto del blog, cercherò di mettere in luce quegli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi italiani (CD) che, a mio avviso, possono avere delle implicazioni rilevanti parlando di orientamento sessuale e di identità di genere, con particolare riferimento alla pratica clinica.

Le bisessualità: oltre la dicotomia etero/omosessuale

Parlare di orientamento bisessuale genera spesso molta confusione, poiché la visione prettamente dicotomica della cultura occidentale tende a considerare la sessualità come esclusivamente etero- o omo-orientata, riducendo la bisessualità ad una sorta di “terra di mezzo” in cui starebbero le persone che non hanno ancora compreso e accettato il loro orientamento eterosessuale o omosessuale. In questo articolo, vorrei portare l’attenzione sulla complessità delle esperienze legate alla sessualità, dal punto di vista affettivo, comportamentale e identitario, per invitare a riflettere sulle diverse varianti della sessualità umana che si discostano dall’esclusiva eterosessualità o omosessualità, ma che sono sentite dalla persona come profondamente autentiche.

La ricerca scientifica: istruzioni per l’uso

Negli articoli di questo blog si trova un esplicito riferimento all’utilizzo di dati provenienti dalla ricerca scientifica a sostegno dei contenuti proposti. Mi sembra quindi utile definire, per chi non sia avvezzo alla terminologia qui adottata, cosa è la ricerca scientifica, perché viene svolta, quali sono i criteri secondo cui viene intrapresa e quale sia il suo scopo ultimo. Premetto che questo articolo non sarà di per sé esaustivo, poiché descriverò solo la ricerca in ambito psicologico, ma mi propongo di toccarne almeno i punti principali.