dott.ssa S. Salvaneschi
Negli articoli di questo blog si trova un esplicito riferimento all’utilizzo di dati provenienti dalla ricerca scientifica a sostegno dei contenuti proposti. Mi sembra quindi utile definire, per chi non sia avvezzo alla terminologia qui adottata, cosa è la ricerca scientifica, perché viene svolta, quali sono i criteri secondo cui viene intrapresa e quale sia il suo scopo ultimo. Premetto che questo articolo non sarà di per sé esaustivo, poiché descriverò solo la ricerca in ambito psicologico, ma mi propongo di toccarne almeno i punti principali.
Vorrei iniziare col porre una domanda: cosa succede quando ci troviamo di fronte ad un fatto, un accadimento che supponiamo possa ripetersi ma del quale sappiamo poco o nulla? Sicuramente, una delle prime cose che ci viene alla mente, è quella di osservare questo accadimento verificando in quante e quali circostanze ci è capitato di riscontrarlo. Detto più semplicemente, vogliamo conoscere meglio questo fatto, approfondirlo e comprenderlo per poterlo annoverare tra le nostre conoscenze.
Analogamente la ricerca scientifica in quanto processo, si pone questo obiettivo, ovvero quello di individuare un tema o problema (sociale, etico, medico, psicologico) che necessita una più approfondita conoscenza, studiandolo attraverso il metodo scientifico tramite l’utilizzo di strumenti idonei che consentano di escludere che elementi estranei a ciò che si sta cercando interferiscano (1). Per dirla con Hockey (1996), la ricerca scientifica è una “indagine sistematica intrapresa per scoprire fatti o relazioni e raggiungere conclusioni usando un metodo scientifico” (2).
In cosa consiste quest’ultimo? Esso costituisce la logica fondamentale alla base di tutte le attività di ricerca (Christensen, 1977), e ne soddisfa i due fondamentali requisiti:
- è obiettivo
- utilizza dati empirici (ovvero quelli raccolti dall’osservazione diretta o indiretta della realtà)
L’obiettività si riferisce al fatto che il metodo scientifico mira a raggiungere una conoscenza approfondita della realtà oggettiva attraverso la raccolta di evidenze empiriche misurabili attraverso l’osservazione o l’esperimento, dopo che siano state formulate ipotesi o teorie da sottoporre a verifica.
Il metodo scientifico, partendo da questi presupposti, si avvale di differenti metodologie, ciascuna delle quali può essere utilizzata in differenti ambiti di ricerca (ad esempio, l’indagine statistica si effettua per sondare gusti e opinioni, mentre la ricerca sperimentale stabilisce i nessi di causalità tra una o più variabili) e ciascuna delle quali presenta punti di forza e di debolezza; è per questo motivo che il ricercatore deve scegliere con accuratezza il metodo e gli strumenti di indagine più opportuni da utilizzare per studiare un dato fenomeno o comportamento (in psicologia gli strumenti di indagine più conosciuti sono i test, le interviste strutturate e semistrutturate, i questionari e i self report). Ma come possiamo stabilire se ciò che la ricerca presenta come risultato sia davvero una fotografia fedele dei fatti? Diventa importante in questo caso, prestare molta attenzione ad alcune caratteristiche della ricerca stessa, in particolare: al campione di soggetti scelti come partecipanti alla ricerca, all’individuazione corretta delle variabili considerate, all’attendibilità, alla validità, e alla possibilità di generalizzazione dei risultati. Cercherò di chiarire brevemente il ruolo che questi elementi fondamentali assumono all’interno di un progetto di ricerca.
Il campione può essere definito come quell’insieme di persone che prenderanno parte alla ricerca: costruire un campione vuol dire selezionare una parte (ovvero il campione; per es. nr x di studenti di seconda liceo) di un tutto ben individuato (ovvero la popolazione; per es. tutti gli studenti di seconda liceo del paese), con procedimenti e regole che garantiscano la capacità della prima a rappresentare significativamente gli aspetti essenziali del secondo. Per considerarsi adeguato, il campione deve essere sufficientemente numeroso e rappresentativo della popolazione o sottopopolazione che si vuol studiare (3). Le variabili, all’interno di un processo di ricerca, costituiscono l’oggetto di studio del ricercatore e devono essere chiaramente identificate, ponendo particolare attenzione a che non entrino in causa le cosiddette variabili di disturbo che inficerebbero il risultato stesso ottenuto successivamente dall’analisi dei dati (4).
I concetti di attendibilità e validità sono stati introdotti per limitare la possibilità di errori nelle misurazioni statistiche: la prima si può definire come grado di accordo o coerenza tra misurazioni indipendenti di uno stesso costrutto (per es: una stessa ricerca ripetuta due volte con identica procedura, deve produrre lo stesso risultato); la seconda è definibile come il grado in cui uno strumento misura ciò che dice di misurare, o per usare le parole di Messik (1989), “la validità è un giudizio complessivo della misura in cui prove empiriche e principi teorici supportano l’adeguatezza e l’appropriatezza delle conclusioni basate sui punteggi ai test” (5).
Da quanto suddetto ne deriva che: un campione che non sia rappresentativo, una variabile che non corrisponda a ciò che si intende indagare, una scarsa attendibilità cui consegue validità insufficiente dello studio, sono fattori che concorrono a invalidare la ricerca. Dunque, gli elementi succitati, unitamente alla scelta di rigorosi strumenti di valutazione, sono fattori di fondamentale importanza per comprendere se la ricerca ha prodotto risultati fedeli a quello che era il problema da indagare e se tali risultati sono estendibili alla popolazione generale.
Mi sembra opportuno però sottolineare che una sola ricerca, per quanto precisa nella metodologia, non costituisce di per sé un dato definitivo, piuttosto può essere considerata come il punto di partenza per nuove esplorazioni scientifiche, come di fatto accade in ogni sfera del sapere umano. Queste però possono produrre risultati differenti dai precedenti e, in tal caso, il dilemma per il ricercatore è quello di poter stabilire con maggior chiarezza a quale risultato potersi affidare per la proposizione di una eventuale teoria generale. A questo inconveniente si è potuta trovare una soluzione a metà degli anni ’70 del secolo scorso grazie all’ideazione e all’introduzione delle cosiddette meta-analisi da parte di G. V. Glass (6), che ne propose l’utilizzo per poter integrare i risultati ottenuti da più ricerche sullo stesso tema. In termini pratici, si tratta di sottoporre ad analisi statistica i risultati delle ricerche già effettuate per potere verificare sia la probabilità che un risultato sia vero e quindi estendibile alla popolazione generale, sia l’intensità (cioè la forza o debolezza) con cui questo risultato si manifesta. Ne risulta che, quand’ora la meta-analisi producesse un risultato “vero” e di grande intensità, esso potrebbe costituire un primo (spesso non definitivo, come già detto) punto fermo per la formulazione di teorie generali.
Con questo articolo spero di aver fornito a chi legge, almeno gli strumenti di base per poter effettuare una lettura critica delle numerose ricerche (e relativi risultati), che ogni giorno ci vengono proposte dai mass-media non solo sulle tematiche LGBT che qui trattiamo, ma anche su temi scientifici di altro genere.
Infine, mi sembra utile precisare che una ricerca, per quanto accurata e veritiera, porterà all’inevitabile confronto con la comunità scientifica, la quale, pur accogliendo i risultati emersi, sarà stimolata a mettere eventualmente in discussione gli stessi e ad approfondire nuovamente gli ambiti indagati.
Note al testo:
- Schematicamente il processo di ricerca può essere così delineato: (a) identificazione del problema, (b) pianificazione del disegno di ricerca, (c) osservazione e raccolta dati, (d) interpretazione dei dati, (e) comunicazione dei risultati.
- Prima di addentrarci nella descrizione del metodo scientifico, mi sembra opportuno definire quale sia il processo logico che sottende alla formulazione di una teoria. Generalmente si distinguono due modalità di approccio: (a) induttivo, ovvero che va dal particolare al generale (si nota un dato fatto in una circostanza e si vuole vedere se è presente anche in altri frangenti), e (b) deduttivo o ipotetico deduttivo, che parte da presupposti generali per giungere a implicazioni particolari (un dato fatto si verifica a livello generale e si vuole vedere se è tipico anche di una porzione di soggetti in particolare). Una volta definito il tema di ricerca, individuate le variabili che si vogliono studiare e scelto l’approccio più adeguato, occorre procedere all’acquisizione delle conoscenze. Il metodo scientifico si avvale di tre metodologie per la raccolta dei dati: metodo storico, metodo descrittivo e metodo sperimentale (Sabourin, in Robert, 1989). Per esigenze di brevità, mi soffermerò qui sul solo metodo descrittivo (per gli altri metodi si veda Robert, 1989). Esso è caratterizzato dalla sua capacità di fornire un’immagine precisa di un fenomeno o di una situazione particolare, senza cercare di scoprire la relazione tra cause ed effetti. Il metodo descrittivo cerca piuttosto di identificare le componenti di una situazione data, descrivendo la relazione tra queste componenti stesse. I metodi descrittivi più utilizzati sono: l’osservazione sistematica, il metodo di correlazione, il metodo utilizzato negli studi genetici e quello impiegato negli studi ex post facto (ibidem).
- Esistono diversi metodi di selezione del campione: campionamento casuale, campionamento casuale stratificato, campionamento ad hoc (per ulteriori approfondimenti si rimanda ai testi in bibliografia). Dire che il campione deve essere sufficientemente numeroso e rappresentativo significa che esso deve possedere le caratteristiche generali della popolazione in esame: per esempio, se voglio accertare l’efficacia di una determinata psicoterapia dovrò scegliere i soggetti tra tutti coloro che si sono sottoposti al trattamento psicoterapeutico, e non persone che hanno scelto tipi diversi di intervento quali il training autogeno piuttosto che il counselling.
- In un disegno di ricerca si evidenziano solitamente due variabili: la variabile indipendente, ovvero uno stimolo o degli eventi comportamentali, che si pensa provochino cambiamenti su altri eventi o comportamenti detti variabile dipendente. La variabile di disturbo è invece una variazione non controllata che varia al variare della variabile indipendente ma non è legata ad essa.
- Nell’articolo parlo di validità in un senso generale, ma nella ricerca scientifica bisogna considerarne differenti tipi: validità interna, esterna, di costrutto, ecologica e statistica; per approfondimenti si vedano i testi in bibliografia.
- È possibile un approfondimento al sito di G. V. Glass direttamente a questo link.
Bibliografia:
- Christensen L.B. (1980), Esperimental methodology (II ed. riv.), Boston: Allin&Bacon.
- Hockey J. (1996), Strategies and Tactics in the Supervision of UK Social Science Students in International Journal of Qualitative Studies in Education, 9 (4), pp. 481–500.
- Messik S. (1989), Validity in Linn R. L. (Ed.), Educational measurement (3rd ed.), pp. 13-103, New York: Macmillan.
- Pedon A., Gnisci A. (2004), Metodologia della ricerca psicologica, Bologna: Il Mulino.
- Robert M. (1989), La ricerca scientifica in psicologia, Bari: Editori Laterza.
Per chi lo desiderasse, molte ricerche a tema LGBT sono disponibili (in lingua originale) sul sito Pubmed:
- sull’omogenitorialità: link 1 e link 2;
- su omosessualità e salute (in particolare rischio di contagio MST).
In italiano, invece, sul portale di Le Scienze si possono trovare diverse ricerche: